Dopo il successo del debutto, torna, a grande richiesta, uno degli spettacoli rivelazione di questa stagione: Festa delle Repubblica, scritto e diretto da Giancarlo Nicoletti con Stefania Fratepietro, Giancarlo Nicoletti, Valentina Perrella, Flavio Gismondi, Matteo Montalto, Pierpaolo Saraceno, Alessandro Giova, Cristina Todaro, Silvia Carta, Andrea Venditti, Alessandro Solombrino. In scena in uno dei palcoscenici più prestigiosi di Roma, per due date speciali, il 9 e 10 maggio al Teatro Brancaccino.
2 Giugno. Una giornalista di cronaca nera e un intellettuale. Un’aspirante showgirl, sua madre e un complottista illuminato. Il fascicolo con le prove della trattativa Stato – Mafia. Il nipote del Presidente della Repubblica e due mafiosi in missione. La lingua italiana non è nata a Firenze ma in Sicilia. Un cantante e la moglie di un imprenditore scomparso. Un integerrimo Sottogretario alla Cultura. Pezzi di cadavere nella buca delle lettere, poteri occulti, un talent show per voci nuove. Il latino della Chiesa e il volgare medievale, la babele dei dialetti, i video su Youporn. La comunicazione, la vita in streaming, il linguaggio e la corsa al successo.
“Festa della Repubblica” è un cortocircuito teatrale: sperimentazione, commedia, dramma, teatro di ricerca, trash d’autore, indagine sociologica e poesia colta allo stesso tempo. Una scommessa irriverente di teatro spudoratamente contemporaneo: un tentativo di svecchiare le dinamiche teatrali classiche, strizzando l’occhio all’attuale produzione drammaturgica internazionale, nella ricerca di una fusione fra gli stili e i linguaggi di scena più distanti fra loro.
Si ride, ma non è una commedia; si riflette e denuncia, ma non è teatro civile; in un vortice di ritmi scenici serrati, il surrealismo si fonde al naturalismo, in un racconto dell’Italia di oggi, rappresentata dalle nevrosi, le contraddizioni, le speranze e le paure degli undici personaggi in scena. Un testo sul linguaggio, verbale, del corpo e dei mass media e sui linguaggi, come lingue, dialetti, costruzioni colte e volgari, in definitiva “parole” che divengono gabbie dell’incomunicabilità contemporanea.